6 Gennaio 2025

Cinema & Berlinale

La fanpage in italiano sul festival internazionale del cinema di Berlino

Il cielo sopra Berlino di Wenders, gli angeli, gli uomini e la città divisa

Il Cielo Sopra Berlino, di Wim Wenders

l'attrice francese Solveig Dommartin

 

Simbolo del cinema d’autore e omaggio alla città, Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders (Der Himmel über Berlin / Wings of Desire, 1987), è molto più di un film o una storia. Un banale tentativo descrittivo potrebbe essere quello di un viaggio poetico nell’animo umano. La particolarità, tuttavia, è la visione di questo percorso attraverso gli occhi di angeli che osservano la vita degli uomini in una Berlino ancora divisa dal Muro. Berlino, infatti, non è solo il palcoscenico del film, ma un vero e proprio personaggio. Le sue strade, i suoi palazzi e il Muro diventano simboli della divisione e del desiderio di unione.

La trama
Siamo agli anni ’80. Damiel (Bruno Ganz) è uno degli angeli che vegliano su Berlino e sui suoi abitanti. Invisibile agli umani, ascolta i loro pensieri più intimi e assiste alle loro vite con compassione. La sua esistenza cambia quando si innamora di Marion, una trapezista solitaria (Solveig Dommartin, attrice francese che fu anche compagna di Wenders). Questo amore spinge l’angelo a desiderare di abbandonare la sua immortalità per vivere come un essere umano, con tutte le sue fragilità e passioni. Ma Damiel non è solo: come lui, ci sono altri angli, ad esempio Cassiel. Peter Falk, un attore americano – si, proprio lui, dove interpreta se stesso – si trova a Berlino per girare un film. Ispirerà Damiel, anche lui in passato è stato un angelo che ha rinunciato alla sua immortalità.

Berlino
Wim Wenders – Orso d’Oro alla carriera nel 2015 ed esponente di primo piano del nuovo cinema tedesco (Il cielo sopra Berlino è stato riproposto nella versione restaurata ai Berlinale Classics del 2018) – restituisce un’immagine unica della capitale tedesca, mostrando tanto la sua bellezza quanto le sue vecchie ferite. L’immagine simbolica degli angeli sulla Stele della Vittoria (Siegessäule) è un assoluto. Attraverso la lente di un’umanità vista dall’alto, Wenders trova il modo di far apprezzare ogni momento e di trovare bellezza anche nelle imperfezioni. Interessante anche la genesi dell’idea, raccontata dallo stesso regista: “L’idea è sorta contemporaneamente da diverse fonti. Anzitutto dalla lettura delle Elegie duinesi di Rainer Maria Rilke. Poi tempo addietro dai quadri di Paul Klee. Anche dal “Angelo della storia” di Walter Benjamin. D’un tratto ascoltai anche un brano dei The Cure che parlava di “fallen angels” (…). Riflettevo anche su come in questa città convivano, si sovrappongano i mondi del presente e del passato, immagini doppie nel tempo e nello spazio, a cui venivano ad affiancarsi ricordi d’infanzia, di angeli in veste di osservatori onnipresenti e invisibili”.

Curiosità
Wim Wenders iniziò le riprese solo con una traccia, senza un preciso copione. Aveva pianificato vagamente luoghi e ambientazioni, ma mancavano le sequenze con dei dialoghi predefiniti. Questa scelta, apparentemente rischiosa, gli concesse una straordinaria libertà creativa, consentendogli di modellare il film in modo organico durante le riprese. Uno dei principali ostacoli logistici fu rappresentato dalle scene ambientate vicino al Muro di Berlino e nella cosiddetta “striscia della morte,” un’area particolarmente sorvegliata e pericolosa. Poiché ottenere il permesso di girare in quel luogo era impossibile, Wenders optò per ricostruire 150 metri del Muro in uno spiazzo aperto, un’operazione non poco costosa. Importante il gioco di contrasti, visivi ed emotivi: con il direttore della fotografia, Henri Alekan, Wenders optò per una doppia visione del film: in bianco/nero per gli angeli (fu utilizzata una calza di seta come filtro per realizzare le sequenze monocromatiche), e a colori per il mondo umano. In tutto ciò, non fece quasi mai fatto uso di effetti speciali. In pochi casi, al fine di rendere l’attore (angelo) semitrasparente, utilizzò la tecnica della sovrimpressione. Per il resto preferì far recitare gli attori normalmente. Un’altra sfida riguardò il design dei costumi degli angeli, che inizialmente lasciò il regista e il costumista indecisi. Vennero provate diverse soluzioni, incluse armature e abiti con ali, ma nessuna soddisfaceva pienamente Wenders. Alla fine, si optò per un semplice cappotto, un elemento che conferì agli angeli un’aura di sobrietà e mistero. Solo in una breve scena onirica Damiel appare a Marion con un’armatura, lo stesso oggetto che, dopo essere diventato umano, venderà per ottenere un po’ di denaro.

Il film è dedicato a tre “angeli” del cinema: i registi Yasujirō Ozu, François Truffaut, Andrej Tarkovskij. La pellicola ha ispirato un remake hollywoodiano City of Angels (1998), con Nicolas Cage e Meg Ryan. Le foto sono tratte dall’archivio della Wim Wenders Stiftung 2017 ©.

Intervista a Wim Wenders e Solveig Dommartin su Archivio Luce.

Sul sito della Berlinale: www.berlinale.de/en/2018/programme/201802198.html