Poco importa l’apprezzato nome del regista, i rischi c’erano tutti: l’omaggio a Venezia, il lockdown, il ricordo del padre. Eppure Molecole di Andrea Segre, oggetto di difficile definizione (documentario? sì, anche), presentato nella sezione Fuori Concorso al Festival di Venezia anche (e per fortuna) nella versione on line, vince. Vince perché sincero, perché privo di nostalgia e di sentimentalismi ma ricco – finalmente – di sentimenti. Segre, alla recherche, attraverso lettere e super8, del legame con un padre molto amato ma taciturno e sicuramente non facile, regala al pubblico poco meno di un’ora e dieci di emozioni. Iniziato prima dello scoppio della pandemia, o perlomeno quando questa sembrava “roba da cinesi”, il film prende vie traverse dopo aver cominciato a mostrare Venezia come raramente la si vede, fuori dal solito “cartonato” e alle prese con i due problemi che l’attanagliano: l’eccesso di turisti e l’acqua alta. Si parla di ambiente, di sostenibilità, ma senza fare (o dare) leziose lezioncine. Purtuttavia il covid incombe e la solitudine cittadina di fine febbraio, se all’inizio è quasi un sollievo per chi ci vive, si trasforma presto nella strana, inquietante situazione di stallo che tutti più o meno abbiamo vissuto (e stiamo vivendo) in questi mesi. Sembrava impossibile parlarne senza cadere nella retorica, ma Segre è riuscito in pieno nello scopo: ci si emoziona, si vive la città, si riflette, si ha anche voglia di saperne di più del rapporto con il padre. Forse chi può, uscito dal cinema, farà una telefonata anche sapendo che sarà breve, quasi insondabile, come certe relazioni tra genitori e figli.
AS
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