Francis fugge da Bissau, vuole vivere in Europa. I propositi sono onesti: vuole far bene, guadagnarsi da vivere e condurre una vita dignitosa. La realtà, purtroppo, non lo accontenterà. Lo sbarco su una spiaggia del Sud Europa è catastrofico, di quelli che si vedono nei telegiornali. Lì, in mare, la sua compagna annega. Da qui la storia segue un corso non programmato.
Francis (Welket Bungué) arriva a Berlino, l’el-dorado di emigrati e rifugiati. Ma senza documenti, senza identità, senza lavoro – quello in regola – inserirsi nella società è quasi impossibile. La sua condizione di apolide lo spinge inesorabilmente ad avvicinarsi, per disperazione, all’occulto universo dell’illegalità berlinese, in particolare della droga.
Rheinhold (Albrecht Schuch), un geniale, folle, psicopatico recruiter, nonché direttore esecutivo degli affari di un boss locale “vecchia guardia”, nota le sue capacità e si offre come amico-salvatore. Per farsi ricordare, ad esempio, annota il telefono su banconote che regala. Bastano un paio di mosse azzeccate, un paio di scene, e Francis è dentro un vortice disastroso. L’amicizia con Rheinhold avrà dure conseguenze, fisiche, psicologiche, relazionali. Francis, in tutto questo, prova ad avere una vita normale. Si lega alla escort Mieze (Jella Haase) la quale lo aiuterà in un momento molto difficile.
Berlin Alexanderplatz, il film di Burhan Qurbani, è un viaggio negli anfratti tenebrosi dell’anima. Ma attenzione, la cornice è moderna, la storia vecchia. Berlin Alexanderplatz è, infatti, un romanzo di stampo novecentesco di Alfred Döblin (1929). Scrittore e drammaturgo tedesco di origine ebraica, le sue opere criticarono duramente la società dell’epoca. Perdente, umiliata, la Germania degli anni ’20 tollerava atroci compromessi pur di tornare ad una vita decorosa. Negli anni ’80, su questa idea, Rainer Werner Fassbinder realizzò una miniserie di 14 episodi che saranno il suo capolavoro. Il film di Qurbani ne prende spunto e riadatta in veste contemporanea.
Tante le singolarità del film, come il discorso di Francis “Ich bin Deutschland”: “…sono qui, nero, forte, senza paura. Indosso una giacca costosa, guido un’auto tedesca, ho un amico tedesco. Sono il sogno tedesco. Io sono la Germania! …”. Un grido nel quale nel quale enuncia il suo diritto a condurre una vita degna di essere vissuta, un appello contro il razzismo e contro l’etichetta di “rifugiato”. E poi, la tormentata, meravigliosa recitazione di Albrecht Schuch, il perfido burattinaio, vero dominatore del film che secondo noi meriterebbe un Orso; la narrazione di Mieze, vittima sacrificale della cecità di Francis.
Berlin Axanderplatz è un caleidoscopio di colori e situazioni, tutte leggibili, trascinanti. Un dito puntato contro il razzismo e le miserie dell’animo umano al quale è difficile sottrarsi.
Berlin Alexanderplatz
Regia: Burhan Qurbani
Origine: Germania, Olanda, 2020
Lingua: tedesco
Durata: 183’
Produzione: Sommerhaus Filmproduktion, Berlin, Germany
Distribuzione: Beta Cinema, Oberhaching, Germany
Link al sito Berlinale
Con:
Welket Bungué (Francis)
Jella Haase (Mieze)
Albrecht Schuch (Reinhold)
Joachim Król (Pums)
Annabelle Mandeng (Eva)
Nils Verkooijen (Berta)
Richard Fouofié Djimeli (Ottu)
Thelma Buabeng (Amira)
Faris Saleh (Masud)
Michael Davies (Bantu)
Francesco Pensovecchio, classe 1969, è giornalista e risiede a Palermo. Tra le sue collaborazioni, Assovini Sicilia, Slow Food Italia, Gambero Rosso e il quotidiano Giornale di Sicilia.
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